Il primo attacco hacker è avvenuto davvero tantissimi anni fa, addirittura prima del primo conflitto mondiale.
Nel cuore della storia della tecnologia, si cela un evento che ha cambiato il modo in cui comprendiamo la sicurezza delle comunicazioni. Era il 1903, quando Nevil Maskelyne, un brillante illusionista britannico, piantò il seme di quello che oggi definiamo hacking. In un’epoca in cui la telegrafia senza fili di Guglielmo Marconi era considerata il futuro, Maskelyne si rese protagonista del primo attacco hacker documentato, dimostrando così al mondo le vulnerabilità tecniche di una tecnologia all’avanguardia.
Il 4 giugno 1903, le grandi aspettative si respiravano nell’aria del teatro della Royal Institution di Londra. Guglielmo Marconi, l’inventore della telegrafia senza fili, si preparava a mostrare le potenzialità del suo innovativo sistema. Il pubblico era radunato e John Ambrose Fleming, un suo associato, stava spiegando i complessi meccanismi che ne garantivano il funzionamento. A circa 300 miglia di distanza, un Marconi ignaro si apprestava a inviare un segnale da una stazione in Cornovaglia, ma un’improvvisa interferenza avrebbe rovinato i suoi piani.
Un messaggio in codice Morse cominciò a stampare ciò che non doveva essere condiviso. Con la parola “rats” ripetuta incessantemente, seguì un limerick sarcastico che punzecchiava l’ingegno di Marconi. «C’era un giovane italiano che imbrogliava il pubblico in modo sublime», risuonavano le parole nel teatro, il che fece vacillare la reputazione di Marconi. Quell’imprevisto cambiamento di scenario non fu un semplice atto di disturbo; rappresentò un affronto alla sicurezza e alla validità delle affermazioni del famoso inventore.
Nevil Maskelyne, noto come illusionista e inventore, non solo era un rivale di Marconi, ma anche un astuto stratega. Era consapevole dei limiti della tecnologia di Marconi e si decise a dimostrarli in un modo inaspettato. La sua posizione gli consentì di preparare il colpo vincente da un punto non molto distante dal teatro, presumibilmente in uno spazio gestito dalla sua famiglia. Le sue motivazioni andavano ben oltre la semplice vendetta; si trattava di una questione di principio.
Il suo attacco non fu solamente un’invasione della dimostrazione ufficiale, ma un atto di provocazione inteso a mostrare come il sistema di Marconi potesse essere manipolato. Ai tempi, la telegrafia senza fili rappresentava una forma di comunicazione completamente nuova, ed era percepita come infallibile. La dimostrazione di Maskelyne gettò un’ombra su quanto si pensava fosse sicuro, lanciando una sfida a un’epoca che, anche se non era ancora consapevole, si stava avvicinando al futuro dell’informatica e della cybersicurezza.
L’attacco a Marconi non mirava solamente a metterlo in cattiva luce; scatenò anche un vivace dibattito sulla sicurezza delle telecomunicazioni. Fleming, estasiato e arrabbiato, definì l’azione di Maskelyne un esempio di “teppismo scientifico”. Ma l’idea di interruzione venne da Maskelyne stesso, che, dopo il caos, non cercò di nascondere le sue azioni; al contrario, lo rivendicò con orgoglio. La questione della sicurezza nei sistemi wireless emerse prepotentemente, facendo nascere inquietudini mai espresse fino a quel momento.
I lettori di illustri quotidiani come il The Times furono chiamati a contribuire nella ricerca del colpevole, mentre la comunità scientifica si interrogava su cosa fosse andato storto. Questo evento storico non si limitò, però, a rovinare la reputazione di Marconi. Piuttosto, portò a una rivalutazione delle tecnologie emergenti e, di conseguenza, a una spinta verso innovazioni capaci di rendere le comunicazioni più sicure. La questione allarmante che emerse dalle ceneri di quel famoso attacco fu che la tutela dei dati era già una priorità, sebbene l’era digitale fosse ancora lontana.
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